Maurizio Di Massimo, erborista spagirico, insegnante yoga e ayurveda
Intervista a cura di Patrizia Boi, giornalista e scrittrice
Ho conosciuto Maurizio Di Massimo insieme a suo fratello Sandro grazie ai loro quattro volumi pubblicati da Aboca Edizioni: Ritornoalle radici. Le piante spontanee per l’alimentazione e la salute (2015);nella Collana “Cultura e Salute dalle piante selvatiche”: Le radici (2018); Le gemme e i germogli (2019); Le foglie (2020). Volevo apprendere tutti i segreti delle Piante e loro ne sono appassionati conoscitori, ma poi ho scoperto un altro mondo che entrambi frequentano e che per Maurizio, in particolare, è diventato il principale. Infatti il nostro Erborista spagirico non si limita a maneggiare i suoi preziosi alambicchi e a perfezionare formule fitoterapiche, alimurgiche, floriterapiche, aromaterapiche, ecc., ma fin dalla sua giovinezza ha viaggiato nel tempo e nello spazio conoscendo le antiche discipline dello Yoga e dell’Ayurveda, tanto che nel 1991 ("insegno yoga già dal 1981...") ha fondato a Pesaro il centro yoga, ayurveda e meditazione Yoga Rasa.
Sei un erborista spagirico: perché hai effettuato questa scelta?
La spagiria rappresenta il completamento del mio percorso erboristico,l’allontanarsi dalla posizione antropocentrica di sfruttamento delle piante ponendosi al contrario, di fronte alla pianta entità vivente.
In alchimia spesso si attribuisce «questo è lavoro di donne» con molteplici sfumature. Il più importante secondo me è l’invito ad essere “lunari” cercando l’insegnamento del filo sapienziale della tradizione erboristica femminile, all’essere sul piano di esistenza vegetale in uno stato ricettivo, percettivo, rispettoso.
Non dimentichiamoci che gli antichi maestri iniziavano l’Opera con preghiere di lode e invocazione alla volontà divina accantonando gli intenti lucrosi, per creare invece beneficio per i disagi degli esseri umani.
Il botanico vedrà nella pianta l’oggetto da classificare, il chimico-farmacista si focalizzerà sull’analisi ponderale dei principi attivi, il poeta si stupirà della bellezza e dell’armonia, ma solo l’alchimista opererà includendo tutti questi aspetti, agendo nella consapevole umiltà di essere un semplice “operaio”collaborativo con la Natura, o come si appellavano gli antichi maestri, un agricola:colui che lavora nel campo. Il compito dell’alchimista dovrebbe essere di elaborare le sostanze della Natura rendendole più sottili e assimilabili (in termini moderni biodisponibili), il “separare” (Solve) e il “riunire” (Coagula) potenziandole proprietà curative e trasformative utili per l’essere umano, il produrre una quintaessentia: «...la proprietà essenziale di una cosa, la sua natura, il potere, la virtù e efficacia curativa».
Cosa ti ha portato, poi a occuparti di ayurveda?
Sono sempre stato attratto dalle autentiche filosofie della salute e della vita come l’ayurveda: non si tratta infatti solo della più antica medicina strutturata che conosciamo, ordinata in branche mediche, con una ricca farmacologia erboristica. Essa indica la cura delle malattie, ma è anche la via per il benessere e la felicità degli esseri umani. L’ayurveda rammenta la stretta relazione tra natura, cosmo, creazione e esseri viventi. Stare bene in salute, nel senso più olistico del termine, è un atto di consapevolezza, una modalità di esistenza orientata su questa visione. Nascere, esistere, è affrontare la vita comprensiva di salute e malattia. Vivere nell’armonia con se stessi, nel rispetto degli altri e della natura(inclusiva di ogni essere vivente) è il fondamento di una condizione sana ed equilibrata.
Sei un conoscitore della “Dottrina delle segnature”, in che cosa consiste?
La teoria delle segnature si ispira all’idea che si possa trovare un’indicazione terapeutica sia nelle forme, che nei colori e nei segni. La segnatura inizia da una modalità di osservazione, di percezione intuitiva e di riflessione analogica. Possiamo osservare per esempio la conformazione del gheriglio della noce e pensare che abbia un’influenza nutritiva sulla struttura cerebrale ricordandone la forma; segnatura confermata dalla presenza delle vitamine del gruppo B (in particolare della B12) e da sani grassi polinsaturi. Nonostante lo stimolo all’indagine e all’osservazione acuta della realtà materiale, la teoria delle segnature ha creato in determinati periodi storici una stagnazione del pensiero erboristico ed alchemico, obliando la vera e fondamentale ricerca dell’archetipo vivente chela pianta incarna e manifesta, un «indicatore degli archetipi costituenti e permeanti tutta la realtà». Paracelso, innovatore della medicina, descriveva la Natura come un grande libro scritto con una grafia cosmica e divina dove le forme e relativi processi parlano della manifestazione delle leggi superiori: il monito di Ermete Trimegisto «così come in alto in basso».
Se volessi fare un confronto tra pianta e uomo, come metteresti in relazione radici, tronco, rami, foglie, germogli, fiori, frutti con il nostro organismo?
«Simile ad un albero signore della foresta, sicuramente, l’essere umano: i suoi peli sono le foglie, la sua pelle la scorza esterna. Dalla pelle il sangue trasuda, e così la linfa dalla scorza, quando è ferito il sangue sprizza fuori, come la linfa dell’albero colpito. Le sue carni sono le schegge, il robusto tendine è il robusto libro dell’albero, le ossa sono la parte interna del legno, il midollo simile al midollo».
Così era la visione descritta nella Brhadaranyaka Upanishad tra il X e il VII sec. a.C.
Antiche e numerose sono le omologie tra le piante e l’essere umano come quella ayurvedica dove i dhatu (fondamentali strutturazioni del corpo) sono: il plasma-succo della foglia; il sangue-linfa e resina, i muscoli-legno dolce; il grasso-gomma e linfa indurita; le ossa-corteccia; midollo e tessuto nervoso-foglia; tessuto riproduttivo-fiore frutto. Ma l’accostamento che amo è quello dell’uomo come albero rovesciato: l’essere vivente che trae il nutrimento spirituale dalle radici nel cielo per fruttificare in terra. Simbolo effuso da Platone alla Bhagavad gita (le radici principio della manifestazione e i rami manifestazione in sviluppo) all’esoterismo cabalistico ed islamico (nella Zohar l’albero della vita si estende dall’alto al basso e il sole lo illumina internamente) fino al pensiero medioevale. Ma, soprattutto, vivo, nel respirare, l’immagine della sovrapposizione della chioma dell’albero dentro i nostri polmoni, la ramificazione degli alveoli polmonari, la stessa condivisione dell’aria terrestre, la clorofilla e il sangue, il verde e il rosso, il compartecipare alla vita sul pianeta, nell’essere inseparabili ...noi capovolti e loro ben piantati.
Cosa rappresenta per te lo Yoga?
Lo yoga è la capacità di mantenere l’equilibrio interiore nelle difficoltà, di orientare il cuore profondo verso orizzonti positivi, fermare la mente nella stabilità attraversando paura e incertezza.
È yoga essere centrati su di sé, ma ascoltando le esigenze degli altri, dei piccoli, dei sensibili, degli impauriti, così che la fermezza impavida contagi persone e luoghi.
È yoga tenere saldo il timone mentre infuria la tempesta misteriosa e improvvisa. È yoga l’unione con le difficoltà e la solitudine che solo così si possono trasformare in opportunità e crescita.
È yoga l’arte di sapere vivere con tenera adattabilità e pacifica accettazione.
Cosa hai appreso con la meditazione e la pratica dello yoga?
Mi piacerebbe rispondere come il personaggio principale del libro ”Siddharta” di Herman Hesse, quando gli venne chiesto cosa sapesse fare, rispose:
«So aspettare, so digiunare, so pensare».
Vorrei, ma sono ancora un imperfetto discepolo in queste arti raffinate, ma aggiungerei un’altra arte sempre più rara in questi tempi esasperati:«So ascoltare». Ascoltare me stesso, quello che sono, quello che non sono e così come sono, ma più importante: ascoltare l’Altro. Di questo sono molto grato allo yoga, di avermi reso più sottile, più fine, più sensibile, più percettivo, più pronto a sentire l’altro di fronte a me.
Cosa significa per te insegnare yoga?
Insegnare yoga non è solo donare quello che tu conosci e, importante, hai sperimentato, ma capire quello di cui l’altro ha bisogno. Capire quale è il suo punto di partenza, per potere indicare il sistema, la tecnica, la metodologia giusta, più adatta al suo momento, alle sue esigenze. Se non accantoni il tuo ego, non cogli l’io dell’altro.
Ma forse il poeta Kahlil Gibran ha colto l’essenza dell’insegnamento quando dice nel poema Il Profeta:
«Nessuno può insegnarvi nulla se non ciò che già sonnecchia nell'albeggiare della vostra conoscenza.
Il maestro che cammina all'ombra del tempio tra i discepoli non elargisce la sua sapienza, ma piuttosto la sua fede e il suo amore.
E se davvero è saggio, non vi invita ad entrare nella dimora del suo sapere, ma vi guida alla soglia della vostra mente».
Comunque, lieto e grato allo yoga di avermi affinato per poter vibrare insieme a quelle tante persone che hanno bussato al mio centro di yoga in questi lunghi decenni.
Come fa lo Yoga ad aiutare la nostra mente scissa tra razionalità e intuito?
La pratica dello yoga consente di scoprire che dietro la mente ordinaria, orientata solo sulla percezione sensoria-motoria, immersa nel suo inarrestabile mormorio e frenesia, esiste una capacità di percezione e conoscenza più profonda. E ci rende consapevoli che il nostro pensare ricorrente e quotidiano è di una mente convergente, categoriale, di una coazione al ripetere mentale, che Nietzsche chiamava “perpetuo ritorno all’identico”. Infine ci munisce di una mente divergente, creativa, immediata, flessibile, multidimensionale: una mente meditativa e intuitiva che ci avvicina alla intelligenza del cuore.
Come è percepito lo yoga nella cultura occidentale?
Lo yoga nella cultura occidentale è da tempo percepito, principalmente come pratica salutistica, per i più solo come una “ginnastica” efficace. La scienza occidentale ne sta riconoscendo gli esatti fondamenti scientifici frutto di una tradizione antichissima che ha sempre avuto come oggetto e proscenio di svolgimento l’essere umano. Un corpus di conoscenze non esclusivo della tradizione culturale indiana, ma un regalo per il mondo sempre più sconvolto da inquietudine, irrequietezza mentale e allontanamento da una visione spirituale. Lo yoga indica che l’essere umano è un articolato composto di corpo, vitalità, mente e spirito. Lo yoga è un antico messaggio nella bottiglia lanciato dai sapienti maestri (rishi) nel flusso dell’oceano del tempo con la saggia certezza che sarebbe diventato indispensabile in questi tempi burrascosi e tormentati. Un appello rivolto all’umanità e ad una cultura occidentale, che non ne colga solo l’aspetto esteriore, formale, edonistico, ma l’essenza più profonda composta di semplicità,rispetto, pazienza e amore, tolleranza, ecologia.
Sei un esperto di yoga per la vista e il ‘vedere’, come può contribuire all’evoluzione del nostro sguardo?
L’occhio, e l’atto del vedere, possiedono la stessa natura ignea della nostra anima. Si vede attraverso la luce mentre l’anima è essa stessa un principio luminoso. Chi vede non lo fa solo attraverso occhi e cervello, ma coinvolge il Sé più profondo(non a caso definito anche come l’osservatore, il testimonio). Infatti le esperienze di vista-conoscenza vengono raccolte nella loro essenza più profonda dal nostro Sé centrale. Il fuoco della comprensione le brucia purificandole come in una distillazione, togliendo la materia inutile e rendendole come un concentrato, un’essenza immagazzinata nella nostra profondità. Nella antica tradizione esoterica si parla della apertura di un occhio di coscienza, di un centro che integra la visione lunare e solare simboleggiato come un occhio trasversale al centro della fronte nelle figure delle divinità o degli illuminati. È noto anche come Ajna chakra, chakra della conoscenza sottile, l’occhio dell’intuizione, della percezione profonda, della saggezza, indicando così che gli occhi guardano ma non vedono e solo questo, l’occhio unico, centrale, in equilibrio, ha la vera visione conoscitiva ed evolutiva.
Nel web fioriscono le più disparate forme di meditazione, come si può orientare l’uomo della strada a non incamminarsi per false vie?
Data la confusione del consumismo banal-spirituale, più che disparate sembrano spesso tentativi “disperati” alla ricerca di facili formule di felicità, del rimedio per lenire ansie a buon mercato, del toccasana che immunizzi da tutte le nevrosi. L’uomo della strada non si affidi ai falsi maestri improvvisati, dispensatori di facili realizzazioni e conquiste, che mostrano (e vendono) innanzitutto il loro ego. Se questo essere umano è già “in strada” si ricordi che il camminare verso la conoscenza di sé è un lungo sentiero che richiede tempo, pazienza, perseveranza, umiltà, fiducia. E sempre questo uomo rammenti, inoltre, quanta tradizione meditativa racchiude la cultura occidentale e che scopra la meditazione quotidiana delle “piccole cose”: come i semplici atti della giornata possono trasformarsi in profonde meditazioni se vissute con la consapevolezza, l’attenzione, la presenza e nella gratitudine.
L’uomo è ciò che mangia: cosa dobbiamo mangiare affinché il nostro organismo resti in equilibrio?
«Mangiare non è soltanto trasformare e cuocere il cibo: è dono, spiritualità, amicizia, fraternità, bellezza, calore, colore, sapienza, profumo, semplicità, compagnia».
Questo diceva un uomo che si è faticosamente e dolorosamente impegnato a ricordare la saggezza delle campagne, della Natura e ha combattuto contro l’ignoranza e l’avidità. Abitava sulle colline delle Cesane attorno ad Urbino e va la mia gratitudine. Grazie Gino Girolomoni.
Di quali colori ti piace dipingere il tuo desco?
Nel mio desco mi impegno a rendere la tavola ricca di colori e sfumature cromatiche. Dalla confusa miscellanea di colore della preparazione del pasto ai contenitori bianchi che mi evidenzino i toni dei vegetali e della frutta: i rossi, i gialli, gli arancioni. L’immancabile verde clorofilliano, la tavolozza cromatica antiossidante delle spezie e la semplicità profumata delle piante aromatiche che ho sempre con me non solo nel naso, ma anche nel cuore. Ricerco anche i caldi colori delle risate dei conviviali cari, i blu pacati dei discorsi profondi dopo che si sono placati i bisogni sensoriali. Il marrone del pane quotidiano che parla di campi assolati.
Anche il violetto ovattato e silenzioso del pranzo solitario illuminato dalla luce dorata della candela di alveare accesa insieme alla preghiera di ringraziamento. Ma non dimentico, e questo mi avvolge in un grigio ombroso e inappetente, il pensiero verso chi non ha nulla da mettere nel suo desco, neanche la speranza di un pasto futuro.
Credo che la legge del flusso ci mette sempre in comunicazione con anime antiche che ci rammentano la nostra vera missione: bisogna sapersi far trasportare dalle leggi invisibili della connessione tra anime, dagli insegnamenti di questi incontri speciali, dalle strade che si aprono per un attimo e che bisogna aver il coraggio di percorrere. Senza dubbio Maurizio è un essere umano capace di ascoltare il suo Sé Superiore e di condurre sulle infinite vie della sapienza chiunque voglia seguire i suggerimenti dell’anima che lo abita.
La Natura sia testimone e attenta facilitatrice di ogni cammino!